L’altro giorno io e un amico parlavamo di dipendenze. In tanti ci sono passati e nei modi più svariati: gioco, alcool, droga, fumo, social e tanto altro. Il desiderio di tornare viziosamente sull’oggetto in grado di appagare quella particolare necessità è sempre in agguato. Il bisogno di nutrirsi di un vizio e non di bellezza è alto. La voglia di sentire il nostro corpo rilasciare dopamina in un meccanismo di ricompensa è forte.
Riflettevo su quanto sarebbe bello riempire le nostre vite di un altro tipo di dipendenza.
Immaginate se esistesse la dipendenza dalla bellezza, dalla passione per la vita, dal coraggio di cambiare. Non sarebbe poi così male desiderare l’oggetto in grado di appagare una tale dipendenza. Riempirci quotidianamente di ciò che è bello per continuare a sentirci bene. Nutrirsi di bellezza per sopravvivere.
Perché in fin dei conti è ciò che ricerchiamo e di cui ci nutriamo che ci contraddistingue come uomini.
Se immagazziniamo solo e sempre odio sputeremo veleno, se ci culliamo nell’ozio condanneremo chi ha voglia di fare, se viviamo nella gelosia non saremo mai in grado di costruire qualcosa di nostro e di autentico, se nuotiamo nella rabbia saremo capaci soltanto di generare conflitti.
Un po’ come nelle storie dei nativi americani che leggevo da bambino: un piccolo indiano Cherokee chiede all’anziano del villaggio circa il contenuto delle nostre anime.
Il Capo risponde: “in ognuno di noi albergano due lupi in conflitto: il primo è il lupo della rassegnazione, della noia, dell’autocommiserazione, dell’invidia, dell’odio. Il secondo invece, quello della gioia, della generosità, della gratitudine, del rispetto, della passione per la vita”.
Il piccolo prontamente chiede: “e chi vince grande capo?”
Sorridendo il capo Cherokee: “è semplice, quello a cui decidi di dar da mangiare”.
Foto di copertina: Thomas Bonometti
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