Una grigliata di carne con gli amici, un wurstel caldo in un hot dog, una spugnosa frittata con il prosciutto. Tutte scene “gustose” per gli amanti di questi alimenti. Ma si tratta di un gusto che presenta un grande interrogativo: vi siete mai chiesti che cosa nutre il nostro cibo?
Mi spiego meglio. Quando siamo dinanzi la nostra succulenta bistecca, siamo pienamente consapevoli di quali siano state le risorse utilizzate per farla arrivare sulla nostra tavola? In particolare come abbia mangiato l’animale nell’allevamento da cui proviene?
Per molti questa risposta è scontata: la mucca (o qualsiasi altro erbivoro che mangiamo) mangia erba, come quella felice nella foto di copertina.
Molti altri sono consapevoli che la mucca probabilmente è stata nutrita in un allevamento intensivo con mangime per tutta la sua esistenza. Altri ancora (credetemi, è vero) ignorano di cosa possa nutrirsi una mucca.
Cosa mangiano gli animali negli allevamenti intensivi?
L’articolo di oggi vuole focalizzare l’attenzione proprio sui processi di alimentazione del bestiame negli allevamenti intensivi. Questi ultimi costituiscono la maggiore fonte di approvvigionamento per la grande distribuzione nei Paesi occidentali. Diviene quindi indispensabile comprendere cosa nutre il nostro cibo.
Uno spunto fondamentale ci viene dato dall’approfondimento (anche se datato) del Friends of the Earth dal titolo “What’s feeding our food? The environmental and social impacts of the livestock sector”. I fatti riportati nell’articolo sono consultabili su tale documento. Evidenziano chiaramente che negli allevamenti intensivi gli animali si nutrono per lo più di foraggio proveniente dall’America del sud.
Il dato di partenza è la stima del consumo pro-capite di carne nei vari Paesi del mondo. Si possono trovare molti dati in rete sull’argomento, a partire dalla classifica del 2009 consultabile su Wikipedia.
Gli Stati Uniti guidano la classifica, accompagnati dalla maggior parte degli Stati del mondo occidentale. Basterà fare due calcoli per comprendere con facilità che il livello di carne consumata ogni anno nel mondo tocca livelli esageratamente elevati. Inoltre si evidenzia (salvo alcune eccezioni) un incremento di questo dato nel corso degli anni.
Se dal lato della domanda i dati sono estremamente significativi, dal lato dell’offerta (in particolare la GDO) si cerca in ogni modo di abbassare i prezzi d’acquisto della carne (e derivati). Ciò per essere più competitivi e sempre pronti a soddisfare le esigenze del mercato.
Le conseguenze a cascata per la battaglia sui prezzi
La battaglia sul prezzo si ripercuote a cascata su ogni livello della catena del valore per produrre ciò che nutre il nostro cibo:
- la GDO paga un prezzo basso;
- gli allevatori devono tagliare i costi per il foraggio rivolgendosi a quei Paesi dove il prezzo del mangime risulta più basso (in particolare nella fascia amazzonica del Sudamerica);
- nei Paesi in cui si coltiva il foraggio (in particolare la soia) sarà necessario avviare processi di deforestazione per lasciare spazio alla coltivazione intensiva del foraggio;
- i coltivatori locali saranno costretti ad accettare salari più contenuti e a rivedere al ribasso le condizioni di vendita dei propri terreni alla grandi multinazionali americane o europee.
Le conseguenze di questo meccanismo creatosi negli anni sono estremamente severe: nei Paesi di produzione del foraggio sono ormai avviati processi di conversione delle foreste in suolo agricolo e il consumo di acqua ha raggiunto livelli esorbitanti: basti pensare che la maggior parte di essa viene utilizzata per irrigare campi di foraggio che nutrirà animali che si trovano dall’altra parte del mondo.
Il ciclo dell’alimentazione negli allevamenti intensivi resta aperto
Allo stesso tempo, per incrementare le rese dei raccolti, sono in utilizzo da anni pratiche di coltivazione di OGM. Questi elementi, insieme alla crescita dei fattori inquinanti come fertilizzanti e pesticidi, contribuisce alla perdita di biodiversità, alla diminuzione delle riserve di acqua potabile e alla riduzione del livello delle condizioni di vita degli agricoltori locali.
Nei Paesi occidentali, dove sono presenti gli allevamenti, le conseguenze non sono trascurabili, soprattutto in termini di sovrabbondanza di letame.
Infatti, sebbene il letame possa essere riutilizzato come concime naturale nell’agricoltura, un eccesso dello stesso, che verrà riversato inevitabilmente su terreni e in acque di laghi e fiumi provocherà un innalzamento dei livelli dei nitrati dannosi per molte specie viventi e che daranno vita a fenomeni diffusi come quello dell’eutrofizzazione.
In sostanza, con il modello business as usual, l’uomo ha creato un sistema aperto, dove a monte ci sarà sempre un problema relativo alla ricerca di terreni fertili per la coltivazione e a valle un eccesso di scarto animale.
Il ciclo chiuso della nutrizione animale
In pratica è il contrario di quanto accadeva ai tempi dei nostri nonni: il bestiame mangiava foraggio locale e il letame prodotto dagli animali contribuiva alla concimazione degli stessi terreni, evitando scompensi nella composizione del terreno e viaggi chilometrici per il trasporto del foraggio.
In conclusione, quando saremo dinanzi la nostra bistecca dovremo essere già a conoscenza della risposta, dovremo sapere cosa nutre il nostro cibo.
Perché se ridurre il consumo di carne può indubbiamente aiutare a ridimensionare il fenomeno, è pur vero che possiamo evitare di rinunciare a questo cibo informandoci sulla sua provenienza, cercando di optare sempre per un prodotto locale senza affannarci nella ricerca dell’offerta speciale del volantino del supermercato, sempre che ci teniamo alla nostra salute e a quella del pianeta!
Giugno 30, 2017 alle 8:23 pm
Lo sapevo che era un blog molto interessante il tuo. L’argomento si sposa con quello che abbiamo trattato da me nei nostri commenti e quello che hai giustamente evidenziato è un problema enorme. Facciamo parte dei Paesi più industrializzati e colti ma abbiamo un livello di educazione alimentare da terzo mondo…